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Breve storia della sinistra palestinese

Francesco Saverio Leopardi

L’articolo, che proponiamo in traduzione italiana, è uscito su Jacobin il 2 luglio 2024 con il titolo “The Left Has Played a Key Role in the Palestinian Struggle”. Francesco Saverio Leopardi è autore di “The Palestinian Left and its Decline: Loyal Opposition” (Palgrave, 2020) e insegna all’Università degli Studi di Padova.

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La sinistra palestinese riceve poca attenzione nelle discussioni attuali sulla politica palestinese, poiché le sue principali fazioni appaiono emarginate, sebbene abbiano storicamente dato un enorme contributo allo sviluppo del movimento nazionale palestinese. L’attuale assenza di un’opzione progressista tra i due partiti nazionalisti conservatori, Fatah e Hamas, contribuisce all’impasse in cui si trovano i palestinesi in termini di iniziativa politica. Per comprendere la marginalizzazione della sinistra, non dobbiamo considerare solo alcuni dei fattori storici oggettivi che ne hanno minato il peso politico, come il crollo dell’Unione Sovietica o l’ascesa dell’Islam politico. Anche l’incapacità di risolvere problemi strutturali, come la frammentazione fra i diversi gruppi della sinistra o il primato del problema nazionale sul quello di classe, hanno rappresentato fattori chiave nel declino della sinistra palestinese.

L’OLP e la sinistra

Alla fine degli anni Sessanta, le organizzazioni armate palestinesi avevano preso il controllo dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) e l’avevano trasformata nella principale piattaforma istituzionale del moderno movimento nazionale palestinese. Fatah, guidata da Yasser Arafat, emerse come fazione egemone, guadagnando immensa popolarità tra i rifugiati palestinesi in esilio grazie all’introduzione di alcune innovazioni politiche fondamentali.

Fatah portò avanti l’idea che la lotta nazionale e l’iniziativa politica palestinese dovessero essere autonomi dal condizionamento degli altri paesi arabi e che la lotta armata fosse lo strumento chiave per raggiungere la liberazione. Diverse altre fazioni si unirono a Fatah nell’OLP, e quelle che rivendicavano un’identità marxista rappresentavano la principale opposizione alla sua leadership. Quando nel 1969 le organizzazioni armate assunsero il pieno controllo dell’OLP, la sinistra palestinese mostrava già alcuni dei problemi di lunga data che ne avrebbero segnato la traiettoria.

La più importante organizzazione di sinistra dell’OLP era, ed è tuttora, il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP), guidato da George Habash, un medico originario della città di Lydda, nell’odierno Israele centrale. Habash era noto anche come hakim al-thawra, “il saggio della rivoluzione”, un soprannome che alludeva sia alla sua formazione professionale (hakim significa medico in arabo levantino) sia alla sua leadership carismatica.

Il FPLP fu fondato nel 1967 come sezione palestinese di una delle più importanti organizzazioni transnazionali arabe, il Movimento dei Nazionalisti Arabi (MNA). Negli anni Sessanta, il MNA si era avvicinato a Gamal Abdel Nasser, il presidente egiziano che sosteneva l’unificazione e il nazionalismo arabi. Ciò comportò uno spostamento a sinistra rispetto alla tradizionale visione nazionalista del MNA, visto che Nasser stesso sosteneva con decisione l’idea di un “socialismo arabo”.

Dopo la disastrosa sconfitta araba nella guerra del giugno 1967 contro Israele, il panarabismo di Nasser perse la sua credibilità come principale agente di unificazione araba e di liberazione palestinese. Questo lasciò più spazio a fazioni come Fatah, che per prima cosa insistette sul fatto che i palestinesi stessi avrebbero dovuto guidare la lotta di liberazione. Habash e i suoi sostenitori capirono che i tempi erano maturi per un cambiamento di paradigma all’interno del MNA e, nel dicembre dello stesso anno, fondarono il FPLP.

Divisioni nel FPLP

Nei primi due anni di vita, il FPLP andò incontro a divisioni importanti. Nel 1968, Ahmed Jibril, ex ufficiale dell’esercito siriano, lasciò l’organizzazione poco dopo esservi entrato e fondò il FPLP – Comando generale. Jibril sosteneva di essere poco interessato ai dibattiti ideologici del FPLP e di essere più interessato all’organizzazione della resistenza armata. Ancora più problematica della rottura di Jibril fu la decisione dell’ala sinistra del FPLP di lasciare l’organizzazione nel 1969 e seguire la leadership di Nayef Hawatmeh. Hawatmeh, di nazionalità giordana, e i suoi sostenitori, che si riunivano per lo più intorno alla rivista al-Hourriah, contestavano la leadership autoritaria di Habash, che consideravano eccessivamente orientata a destra. Tuttavia, le rivalità personali contarono probabilmente più delle differenze ideologiche nella scissione, poiché Hawatmeh non sopportava la popolarità e l’aura carismatica di Habash. Dopo essersi assicurato la protezione di Fatah e Arafat, in particolare per gli uffici dei suoi compagni in Libano, Hawatmeh lasciò il PFLP e fondò il Fronte Democratico Popolare per la Liberazione della Palestina (in seguito ribattezzato semplicemente Fronte Democratico per la Liberazione della Palestina, o FDLP). Il nome intendeva sottolineare la presunta leadership antidemocratica dell’organizzazione madre.

Habash si ritrovò con un’organizzazione dimidiata, che tuttavia godeva ancora di una notevole popolarità ed era fedele al suo segretario generale. Nel 1969, il FPLP pubblicò il suo manifesto politico e adottò il marxismo-leninismo come ideologia ufficiale. Le piattaforme ideologiche e organizzative del FPLP riflettevano l’influenza del marxismo globale. Anche il maoismo e l’esperienza vietnamita erano fra i modelli principali di Habash e dei suoi compagni. A differenza di Fatah, il FPLP (così come il FDLP) non mirava solo alla liberazione della Palestina e alla creazione di uno stato democratico in tutta la Palestina del mandato britannico. L’idea era quella di una rivoluzione più ampia, che avrebbe portato al socialismo in tutta la regione e rovesciato i “reazionari regimi arabi”. In questa prospettiva, la reazione araba e il sionismo erano entrambi visti come pedine locali dell’imperialismo globale, guidato dagli Stati Uniti. Alla fine degli anni Sessanta, sia il FPLP che il FDLP indirizzarono i loro strali contro il Regno Hashemita di Giordania. Questo era lo Stato in cui l’OLP aveva il suo quartier generale e i palestinesi avevano le migliori possibilità di creare una “Hanoi araba” per sostenere la guerriglia contro Israele.

Nonostante le differenze ideologiche con Fatah, il FPLP sottoscrisse comunque gli stessi valori e le stesse pratiche condivise che costituivano il nucleo della carta dell’OLP. In questo modo, il FPLP riconosceva il primato delle idee che Fatah aveva introdotto per prima nel movimento nazionale, in particolare il nazionalismo palestinese. Il FPLP sarebbe rimasto fedele per decenni al quadro dell’OLP, nonostante il ruolo di opposizione dura che ricoprì al suo interno. L’organizzazione riaffermò costantemente il primato della dimensione nazionale della lotta rispetto alla linea socialista e rivoluzionaria.

Dalla Giordania al Libano

La chiamata a una rivoluzione araba rifletteva chiaramente l’eredità nazionalista araba del MNA, ma mise il FPLP e il FDLP in contrasto con Fatah, i cui leader si sforzavano di mantenere l’OLP in una posizione di equilibrio sul territorio giordano. Durante gli anni di applicazione della strategia rivoluzionaria, fino a circa il 1972, il FPLP divenne famoso nel mondo per le sue “operazioni esterne”, in particolare per i dirottamenti aerei che resero la figura di Leila Khaled un’icona rivoluzionaria mondiale.

Se da un lato questa strategia raggiunse l’obiettivo di attirare l’attenzione del mondo sulla lotta palestinese, dall’altro fece precipitare il confronto tra l’OLP e i governanti hashemiti della Giordania. Nel settembre 1970, l’atterraggio di tre aerei dirottati dal FPLP a Dawson’s Fields, un’ex base aerea britannica, fu la scintilla che accese la crisi. Re Hussein ordinò all’esercito di muoversi contro le organizzazioni armate palestinesi. A partire da quello che divenne noto come “settembre nero”, gli scontri si protrassero fino al 1971 e l’OLP fu infine costretta a trasferire il suo quartier generale a Beirut.

Una volta in Libano, l’intera OLP entrò in una nuova fase politica, in cui la rivoluzione e la lotta armata si affiancavano alla diplomazia e allo sviluppo istituzionale. Nel 1974 l’OLP aveva adottato questo approccio come linea ufficiale, dichiarando di essere pronta a stabilire una “autorità nazionale palestinese combattente su qualsiasi parte della terra liberata”, prefigurando l’accettazione esplicita di una soluzione a due stati. A dire il vero, fu il FDLP la prima fazione palestinese a proporre un tale cambiamento politico, che trovò rapidamente il favore di Fatah. Il FPLP si trovò nel mezzo e rifiutò la nuova linea, ritenendola una “deviazione” dallo statuto dell’OLP. L’organizzazione di Habash si trovò di fronte a un dilemma non indifferente, combattuta tra la sua fedeltà al quadro dell’OLP e la sua adesione al ruolo di opposizione radicale.

Gran parte del sostegno popolare del FPLP si basava sulla sua posizione intransigente nei confronti della liberazione della Palestina e sulla sua capacità di svolgere un ruolo rivoluzionario. In Giordania, il FPLP aveva avuto la possibilità di avviare una trasformazione rivoluzionaria, mentre in Libano l’equilibrio tra i suoi due principali obiettivi politici era più difficile da raggiungere. Tuttavia, il contesto libanese offriva ancora alcune opportunità rivoluzionarie alla sinistra palestinese. Il locale Movimento Nazionale Libanese, guidato da Kamal Jumblatt, mirava a superare il tradizionale sistema confessionale su cui poggiava il potere statale e vedeva nella presenza armata palestinese un potenziale partner. Mentre Fatah cercava di evitare di essere trascinata negli scontri interni libanesi, il FPLP e il FDLP vedevano nell’iniziativa di Jumblatt un’altra possibilità di portare la rivoluzione in uno Stato arabo.

Quando nel 1975 scoppiò la guerra civile, fu chiaro che l’OLP non poteva rimanere estranea al conflitto. Dopo tutto, un incidente di tiro diretto contro combattenti palestinesi finì per essere considerato il primo episodio della guerra. Le milizie libanesi controllate dalle fazioni conservatrici, in particolare i cristiani maroniti, temevano la minaccia politica e demografica che l’OLP rappresentava per lo status quo. Le organizzazioni palestinesi furono pesantemente coinvolte nella guerra, poiché il loro obiettivo principale era quello di proteggere il rifugio che avevano costruito nel paese. Nella seconda metà degli anni Settanta, la solidarietà con gli alleati palestinesi aiutò il FPLP a colmare la sua distanza dal resto del movimento nazionale. La trasformazione rivoluzionaria lasciò il posto alla strategia nazionalistica. 

La seconda invasione israeliana del Libano nel 1982, dopo che la prima aveva già portato all’occupazione di una parte del Libano meridionale nel 1978, segnò uno spartiacque nella storia dell’intera OLP e della sinistra palestinese in particolare. Dopo un assedio durato tutta l’estate, l’OLP fu costretta a lasciare la sua base di Beirut e a trasferirsi nella lontana Tunisi. Nel frattempo, il FPLP e il FDLP spostarono il loro quartier generale a Damasco, dove il controllo minaccioso del regime di Hafez al-Assad impose un ambiente molto più restrittivo per la sinistra palestinese.

La prima intifada

Dopo il 1982, i gruppi di sinistra sembravano essere stati privati di qualsiasi spazio per l’iniziativa rivoluzionaria. La lotta armata, come praticata fino ad allora, aveva sì ottenuto il riconoscimento internazionale del più ampio movimento nazionale, ma non aveva portato né alla liberazione né alla rivoluzione nel mondo arabo. Fatah e la leadership dell’OLP puntarono allora tutto sulla diplomazia e cercarono di ottenere il riconoscimento degli Stati Uniti come passo fondamentale e preliminare per avviare negoziati diretti con Israele. Da parte sua, il FPLP non poteva accettare questa ulteriore svolta verso la diplomazia, ma non era in grado di proporre una visione alternativa. Inoltre, George Habash non poté esercitare la sua forte leadership come aveva fatto in precedenza, dopo che nel 1980 fu colpito da un ictus che ne indebolì notevolmente la capacità di lavoro.

Lo scoppio della Prima Intifada nel 1987 rappresentò un’occasione d’oro per trovare una via d’uscita dall’impasse politica che aveva limitato la capacità di iniziativa palestinese. L’ampia rivolta popolare nei territori occupati spostò l’equilibrio dell’OLP dalla diaspora alla patria. Per la leadership dell’OLP, fu un’occasione per trovare una maggiore leva per i suoi sforzi diplomatici. Per il FPLP e la sinistra, invece, fu l’occasione per colmare il divario con Fatah e rinnovare le proprie credenziali rivoluzionarie.

La Prima Intifada vide anche la nascita della prima organizzazione palestinese al di fuori dell’OLP capace di ottenere un ampio sostegno popolare. Hamas, il Movimento di Resistenza Islamica, venne fondato subito dopo lo scoppio delle rivolte e si propose rapidamente come la nuova opzione radicale palestinese. Ciò non mise a rischio solo lo status dell’OLP, ma anche il ruolo della sinistra palestinese, in particolare del FPLP, che si posizionava ancora come opposizione radicale alle deviazioni di Fatah.

Nei primi anni Novanta sono emersi diversi altri fattori di rilievo che hanno posto l’intera sinistra e in particolare il FPLP in una situazione critica. Il crollo dell’Unione Sovietica nel 1991 minò la credibilità dei partiti marxisti a livello globale. A livello palestinese, questo evento non ha provocato grandi trasformazioni nelle prospettive ideologiche e organizzative delle organizzazioni di sinistra. Solo il Partito Comunista Palestinese cambiò nome in Partito Popolare Palestinese (PPP) adottando un profilo socialdemocratico. Il FPLP risultò particolarmente inattivo di fronte a questa importante sfida globale e alla mutata situazione per le fazioni palestinesi determinata dall’Intifada. Al suo quinto congresso nazionale del 1993, il FPLP non modificò la sua visione della trasformazione socialista e ribadì la propria adesione ai principi politici della dichiarazione del 1969. Allo stesso tempo, la leadership tradizionale non permise ai nuovi leader palestinesi emersi durante l’Intifada di ottenere un’adeguata rappresentanza nell’organizzazione.

Dopo Oslo

Alla fine dell’estate di quello stesso anno, la leadership dell’OLP e il governo israeliano dichiararono il raggiungimento di un piano per il processo di pace, parte dei cosiddetti Accordi di Oslo. Questa svolta colse di sorpresa la sinistra palestinese. Il PFLP e il FDLP, insieme ad Hamas, rifiutarono l’accordo segreto raggiunto nella capitale norvegese, anche se un piccolo gruppo del FDLP lasciò l’organizzazione e fondò l’Unione Democratica Palestinese (FIDA) per dare il proprio sostegno all’iniziativa di Arafat.

Con il progredire del processo di pace israelo-palestinese e l’istituzione dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP), il FPLP e il FDLP hanno cercato di costruire una coalizione di opposizione con Hamas e altre fazioni che vi si opponevano. Questa iniziativa ebbe vita breve, poiché la sinistra e gli islamisti trovarono pochi punti in comune e non riuscirono a superare la diffidenza reciproca. Negli anni ’90, sia il PFLP che il FDLP hanno gradualmente fatto i conti con la nuova realtà. Pur mantenendo ufficialmente il loro rifiuto degli accordi di Oslo, hanno cercato pragmaticamente un modo per influenzare la nuova realtà.

Ai membri del partito fu permesso di entrare nei ranghi inferiori della burocrazia dell’ANP, mentre i leader più importanti presero in considerazione la possibilità di tornare in Palestina nel contesto del processo di pace. Stando alle dichiarazioni ufficiali, nel 1999, ad esempio, Abu Ali Mustafa, vice segretario generale del FPLP, fu autorizzato a tornare in Cisgiordania per organizzare la resistenza nei territori occupati. Allo stesso tempo, molti attivisti di sinistra abbandonarono le loro fazioni per unirsi al fiorente settore delle organizzazioni non governative (ONG). La sinistra guardava alla società civile come al nuovo baluardo della resistenza contro l’occupazione e il crescente autoritarismo dell’ANP. Tuttavia, la dipendenza dai finanziamenti occidentali e le condizioni che ne derivavano hanno privato le ONG di gran parte del loro potenziale progressista. Nell’ambito del lavoro delle ONG, l’attivismo sociale è stato professionalizzato ed è diventato maggioritario un approccio focalizzato su singoli temi slegati fra di loro.

Al contrario, Hamas ampliò la sua base sociale durante questo periodo attraverso una vasta rete di organizzazioni popolari che non dipendevano da finanziamenti esterni ed erano quindi in grado di convogliare il sostegno popolare verso la linea e l’etica del partito. Le fazioni di sinistra stavano perdendo adesioni e la loro opposizione appariva priva di significato, dal momento che sia il FPLP che il FDLP si erano praticamente riconciliati con Fatah e avevano accettato gli accordi di Oslo.

La Seconda Intifada, scoppiata nel settembre 2000, ha sancito la marginalizzazione della sinistra palestinese. Nel contesto di una rivolta armata, i gruppi combattenti del FPLP e del FDLP non potevano competere con la forza delle Brigate Al-Qassam di Hamas o dei Martiri di Al-Aqsa di Fatah.

Nel 2000, Habash si dimise e Abu Ali Mustafa divenne segretario generale del FPLP, a enfatizzare l’importanza che il FPLP attribuiva alla riorganizzazione della resistenza nei territori occupati. Tuttavia, un attacco aereo israeliano al suo ufficio di Al-Bireh assassinò il nuovo leader del FPLP nell’agosto 2001. Mentre l’Intifada infuriava, il FPLP elesse come nuovo segretario generale Ahmad Sa’adat, uno dei capi leader del settore del partito in Cisgiordania. Purtroppo, di lì a poco, anche Sa’adat sarebbe stato incapace di svolgere il suo ruolo di leader. L’ANP lo arrestò nel 2002 per il suo ruolo nell’uccisione del ministro israeliano Rehavam Ze’evi come vendetta per la morte di Mustafa. L’esercito israeliano lo ha poi trasferito dalla prigione dell’ANP a una delle proprie prigioni, dove rimane tuttora.

La sinistra palestinese oggi

La Seconda Intifada si sarebbe conclusa nel 2005, lasciando la leadership del FPLP in cattive condizioni. Per quanto riguarda il FDLP, l’anziano Hawatmeh continuava a ricoprire la carica di segretario generale, ma si trovava a Damasco, lontano dai territori palestinesi. Negli anni frenetici che seguirono la Seconda Intifada e la morte di Arafat nel 2004, la sinistra palestinese apparve schiacciata tra la nascente opposizione di Hamas e una Fatah frammentata che tuttavia rappresentava ancora il partito di governo dell’ANP.

La ridotta partecipazione delle fazioni di sinistra alle elezioni del 2006 per il Consiglio legislativo palestinese, il parlamento dell’ANP, ha testimoniato la loro incapacità di svolgere un ruolo significativo nella crescente polarizzazione della politica palestinese. Il FPLP ottenne tre seggi su 132 con poco più del 4% dei voti. Il FDLP presentò una lista congiunta con il PPP e la FIDA, denominata Alternativa, che ottenne due seggi con poco meno del 3%. Anche l’Iniziativa Nazionale Palestinese di Mustafa Barghouti, ex leader del PPP che si era candidato contro Mahmoud Abbas alle elezioni presidenziali del 2005, ottenne due seggi.

Hamas è stato il vincitore assoluto di quella tornata elettorale e la sua rivalità con Fatah alla fine sfociò in un vero e proprio conflitto tra i due gruppi. Mentre ciò accadeva, la sinistra palestinese cercò di svolgere un ruolo di mediazione, ma non fu in grado di influenzare il corso degli eventi. L’intera sinistra ha condannato la presa di Gaza da parte di Hamas nel 2007, pur riconoscendo le responsabilità di Fatah nell’escalation della crisi.

Negli anni successivi, le fazioni palestinesi di sinistra hanno continuato a concentrarsi sugli sforzi di riconciliazione. I loro membri hanno continuato a diminuire insieme al loro impatto sulla società palestinese.  Ad esempio, i gruppi studenteschi di sinistra affiliati ai principali partiti non hanno ottenuto buoni risultati nelle elezioni universitarie.

Alcune figure di spicco della politica palestinese hanno continuato ad emergere dalle file della sinistra, come Khalida Jarrar del FPLP. Tuttavia, sullo sfondo del peggioramento delle condizioni economiche nei Territori occupati e del crescente autoritarismo delle amministrazioni palestinesi a Gaza e in Cisgiordania, sotto il peso di un’occupazione schiacciante, le fazioni di sinistra non sono state in grado di proporre una visione alternativa per la liberazione e di mobilitare di conseguenza il sostegno popolare. Il rinnovamento ideologico e organizzativo continua a sfuggire ai principali gruppi. Ad esempio, il FPLP ha continuato a rieleggere Sa’adat come segretario generale nella sua cella, sottolineando l’incapacità di trovare un nuovo leader che potesse supervisionare le attività del partito dall’esterno del carcere.

Più in generale, l’incapacità della sinistra di rinnovare la propria visione della liberazione palestinese rimane un problema centrale. I partiti di sinistra, così come le altre organizzazioni palestinesi, rimangono legati alle visioni tradizionali emerse negli anni Sessanta. Non sono riusciti a elaborare un’alternativa che si discostasse dai paradigmi storici del nazionalismo palestinese e si concentrasse più precisamente sulle contraddizioni centrali della questione della Palestina e del movimento nazionale palestinese. Come, ad esempio, ricostruire una piattaforma istituzionale che possa fornire una rappresentanza politica legittima e completa al popolo palestinese? Come elaborare una visione di autodeterminazione svincolata da un’impossibile soluzione a due stati? Come fornire un’analisi e una risposta politica alle relazioni di potere coloniale esistenti non solo nei territori occupati, ma in tutta Israele/Palestina? Come restituire rappresentanza e coinvolgimento politico ai rifugiati palestinesi in esilio?

Mentre la brutale guerra israeliana a Gaza continua senza fine, riflettere su queste domande potrebbe sembrare irrilevante. Tuttavia, in una prospettiva a lungo termine, l’assenza di una piattaforma politica palestinese valida è un tassello fondamentale nella lotta per l’uguaglianza e l’autodeterminazione dei palestinesi. La sinistra palestinese, in tutta la sua diversità, potrebbe attingere alla sua eredità storica e intellettuale all’interno del movimento nazionale per fornire nuove prospettive sui principali problemi della questione palestinese. Le organizzazioni tradizionali sembrano però aver esaurito la maggior parte della loro credibilità politica e mostrano scarso interesse per un effettivo rinnovamento. Rimane quindi aperta la questione se le idee e le pratiche di sinistra possano trovare un veicolo efficace nelle strutture esistenti o se debbano cercare nuovi canali istituzionali.

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