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Il minuto della tattica e il secondo della vittoria

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Il minuto della tattica e il secondo della vittoria. Alle radici del potere popolare in Venezuela

Durante l’estate del 2024, una delegazione dell’Unión comunera1 ha visitato diversi Paesi europei per confrontarsi con le realtà politiche, sociali e sindacali del continente sullo stato dell’arte del processo bolivariano in Venezuela. È stata inoltre un’occasione per discutere degli aspetti più storici e teorici del protagonismo popolare che il chavismo ha prodotto negli ultimi 25 anni.

Partendo dalla convinzione che “senza teoria rivoluzionaria non vi può essere movimento rivoluzionario”, abbiamo parlato con Juan Carlos Lenzo2, 41 anni, dirigente dell’Unión comunera e militante dei movimenti popolari venezuelani e internazionalisti sin dai primi anni 2000.

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Progetto Me-Ti: La rivoluzione bolivariana viene spesso limitata alla vittoria elettorale di Chávez nel 1999 e quindi alla presa del potere politico. Ma il chavismo – inteso come movimento politico e ideologia rivoluzionaria – ha ben presto messo al centro della trasformazione del Paese l’attività popolare e l’emancipazione dal basso. Entriamo subito nel merito di questa doppia caratteristica del chavismo.

Juan Carlos Lenzo: La rivoluzione bolivariana è proprio la sintesi tra presa del potere politico e attivazione del popolo dal basso, non esiste l’una senza l’altra. È quindi essenziale capire sia il processo storico che ha portato alla vittoria elettorale di Hugo Chávez Frías nel 1999 e alle successive politiche socialiste che la nascita di nuove forme di organizzazione popolare che rispondono alle esigenze storiche poste dal processo rivoluzionario. Questo, inevitabilmente, ci obbliga a una riflessione teorica non come mera dottrina, bensì come guida all’azione pratica. Ci sono diversi momenti in cui il comandante Chávez ci ha aiutato a fare questa sintesi tra prassi e teoria, due facce inseparabili della stessa medaglia.

Un momento importante di sintesi tra teoria e prassi è l’elaborazione del concetto di democrazia partecipativa e il ruolo da protagonista del popolo3 inteso come una necessità che la realtà del tempo richiedeva, cioè la necessità di integrare il popolo nella politica, di dargli un volto, un ruolo attivo nel processo di trasformazione. Cercando un riferimento teorico, ci siamo imbattuti in idee che precedevano le riflessioni di Chávez. Nel panorama della teoria politica venezuelana esistevano teorici che lavoravano sul concetto di democrazia partecipativa e basta, un concetto promosso dai socialdemocratici, dai social-cristiani e da correnti della teologia della liberazione che stavano facendo lavoro politico con il popolo. L’idea dominante era che una democrazia partecipativa poteva servire da contenitore delle pressioni e delle contraddizioni sociali che in Venezuela iniziavano a farsi sentire. Chávez, consapevole dei limiti della democrazia borghese, andò oltre, iniziò a parlare di democrazia partecipativa unita a un ruolo da protagonista del popolo venezuelano, cioè attribuiva alla soggettività organizzata un ruolo centrale nella trasformazione del Paese.

Me-Ti: Come si inseriscono le comunas in questo processo democratico, partecipativo, con il ruolo centrale del popolo organizzato?

JCL: Anche il progetto comunal4 è una risposta alle necessità del tempo: la rivoluzione richiedeva, abbastanza velocemente, la costruzione di un nuovo potere. Dopo la vittoria elettorale e la scrittura di una nuova costituzione, il governo Chávez si trovò a scontrarsi letteralmente contro i limiti dello Stato borghese liberale nel tentativo di avviare politiche socialiste. Da qui emerse la necessità di fondare un nuovo tipo di Stato in senso leninista e gramsciano5. Ma non sapevamo né come, né partendo da dove, e – detto onestamente – neanche il perché!

Chávez ebbe una capacità incredibile di avviare e rafforzare un processo di alfabetizzazione teorica e politica partendo proprio dalla necessità storica e pratica. Così egli ci introdusse all’esperienza della Comune di Parigi, ai bolscevichi nella Rivoluzione russa e al ruolo dei soviet per comprendere come costruire un potere parallelo, un doppio potere.

Chávez però non si fermò ai classici. Ci insegnò anche le avvertenze di Kropotkin sui rischi che il partito stroncasse l’esperienza sovietica. Ne fece un discorso pubblico, leggendoci la lettera di Kropotkin a Lenin6. E poi ci introdusse alle Comuni popolari in Cina, al modello della democrazia cubana e alle assemblee del potere popolare tramite i Comitati per la Difesa della Rivoluzione (CDR). Abbiamo trovato anche un legame con esperienze contemporanee come il Movimento dei Lavoratori Senza Terra in Brasile (MST) che opera anch’esso con il concetto di doppio potere; oppure con l’esperienza zapatista, riconoscendone l’apporto e i limiti. Ci siamo quindi avviati in un cammino di ricerca nella costruzione del progetto comunal.

Malgrado tutto questo lavoro pratico e teorico, abbiamo ancora molto da fare per sistematizzare i ragionamenti e costruire una nostra teoria più ampia e completa.

Me-Ti: Chávez è stato fondamentale nella costruzione di un vero e proprio movimento capace di collegare elaborazione teorica e prassi rivoluzionaria. Come si può spiegare la nascita e lo sviluppo del chavismo?

JCL: Rispondere a questa domanda richiede una elaborazione della storia che ha portato a Chávez. Negli anni ’80 il Venezuela viveva una crisi sistemica e organica, termini che Chávez aveva preso in prestito da Gramsci. Questa crisi aveva due caratteristiche fondamentali: una crisi di accumulazione capitalista accompagnata da quello che possiamo definire l’esaurimento dello Stato. Questa crisi era il prodotto dell’emergere dei limiti del modello di accumulazione basato sulla rendita petrolifera e di uno Stato – che avevamo ereditato da Juan Vicente Gómez7 – incapace di “controllare” e rispondere alle contraddizioni sociali che si erano manifestate nella crescita delle disuguaglianze e nella perdita del “consenso democratico” imposto dal bipartitismo venezuelano (1973-1999).

Queste crepe hanno iniziato ad aprirsi quando il popolo venezuelano ha iniziato a mobilitarsi. L’allora presidente Carlos Andrés Pérez8 pensava che durante il suo secondo mandato si potesse replicare il benessere diffuso della seconda metà degli anni ’70 legato alla ripartizione della rendita petrolifera, ma si sbagliava, perché le contraddizioni accumulate durante gli anni ’80 portarono il Paese al baratro: il deficit di bilancio aumentò sproporzionatamente e il presidente si rivolse al Fondo monetario internazionale (FMI) per “uscire” dalla crisi.

Per ricevere il prestito, Pérez accettò le condizioni del FMI: privatizzazioni, liberalizzazione del cambio e dei prezzi, il congelamento dei salari – le tipiche ricette monetariste. La goccia che fece traboccare il vaso fu l’aumento del prezzo del trasporto pubblico: il 27 febbraio del 1989 iniziò un’ondata di proteste sociali chiamate el caracazo9. A queste rivolte sociali però mancava una direzione politica. In quel periodo stavamo uscendo da un processo di esaurimento della sinistra venezuelana segnata dal duro colpo del fallimento della lotta armata degli anni ’60. La sinistra non fu quindi capace di identificare, cogliere e dirigere quel vulcano che si stava attivando nel sottosuolo politico e sociale venezuelano.

Il popolo senza direzione venne massacrato, la repressione brutale uccise circa 3.000 manifestanti. Il governo Pérez voleva seminare il terrore per paralizzare il popolo e non farlo più scendere in piazza, così da poter applicare il suo pacchetto economico, che portò ulteriore precarietà e povertà.

Me-Ti: Un primo insegnamento fu quindi che un popolo disorganizzato e senza direzione politica difficilmente riesce ad avviare un processo di profondo cambiamento. Chávez in quel momento era nelle forze armate.

JCL: Parallelamente a questi processi politico-sociali degli anni ’80, all’interno delle forze armate nazionali si iniziò ad organizzare silenziosamente e clandestinamente un nuovo movimento. Alla sua testa si trovava l’allora ufficiale Hugo Chávez che, ispirato da Simón Bolívar, rifiutò la corruzione dentro le forze armate e porta al suo interno le istanze delle classi popolari che conosceva perfettamente: lui stesso infatti proveniva dal mondo contadino e visse nei quartieri popolari di Caracas.

Chávez iniziò quindi a interessarsi alla situazione politica del Paese e soprattutto alla situazione all’interno delle forze armate. Suo fratello, Adán Chavez, era militante del Partido de la Revolución de Venezuela (PRV)10.  I due si incontrarono per costruire connessioni tra il partito rivoluzionario e le forze armate, ma Chávez colse ben presto il radicato sentimento anti-marxista all’interno dell’esercito e così questa articolazione finì ancor prima di iniziare. Chávez però comprese anche che un capovolgimento della situazione non poteva avvenire esclusivamente tramite le forze armate.

Me-Ti: Questo ci porta quindi al 1992, anno in cui Chávez tenta il colpo di Stato, che però fallisce.

JCL: Durante il caracazo Chávez, in quanto dipendente dell’esercito venezuelano, si trovava nel Palazzo di Miraflores, la sede ufficiale del governo. Provò un forte senso di colpa nel vedere i militari sparare al popolo. Il 27 febbraio fu come un risveglio per Chávez, che lo obbligò a riattivare il movimento che in quel momento non era ancora in grado, in maniera autonoma, di condurre una lotta politica, e lo spinse a trovare alleanze all’interno della sua frazione delle forze armate e così ad accelerare l’organizzazione e l’azione politica.

Chávez utilizzò una metafora molto interessante per cogliere il momento politico della rivoluzione. Secondo lui era scoccata l’ora strategica: la crisi organica del potere costituito aveva raggiunto il suo limite; questa crisi era stata confermata dal minuto tattico: le contraddizioni inerenti al sistema avevano portato il popolo venezuelano in piazza. Quello che mancava, secondo Chávez, era il secondo della vittoria: il fatto che i dirigenti con cui stava cospirando all’interno delle forze armate si unissero alle truppe per capovolgere lo stato dell’arte. Chávez era convinto di aver raggiunto questo momento nel dicembre del 1991.

Il 4 febbraio del 1992 approfittò di una sfilata militare per muovere le truppe che avevano aderito e lanciare la ribellione militare. Questa ribellione però fu sconfitta militarmente. Nonostante fosse stata capace di costruire legami con alcuni settori della sinistra, non era riuscita a connettersi con il popolo, che non rispose a questa iniziativa. Malgrado alcune zone del Paese fossero sotto controllo dei comandanti fedeli a Chávez, egli fu costretto ad arrendersi. L’oligarchia commise però l’errore di consentirgli il famoso minuto in TV11. Questo minuto divenne fondamentale per le classi popolari, perché apparve sugli schermi una persona che nessuno conosceva e che si assunse le responsabilità per la sconfitta della ribellione, chiudendo con un “por ahora” (per ora). Questo attirò l’attenzione della gente e si produsse una connessione immediata.

Me-Ti: Chávez venne arrestato e rimase in carcere fino al 1994, quando riacquistò la libertà grazie a un’amnistia. Lo costrinsero però ad abbandonare le forze armate. Come sappiamo da altri esempi, il carcere può anche fungere da scuola politica.

JCL: Sin dall’accademia militare Chávez era stato uno studioso, ma in prigione approfondì la sua formazione teorica leggendo Clausewitz, Mao, il Che, Lenin, studiò in modo ossessivo i testi di Bolívar, ma anche la storia venezuelana, la sociologia, la filosofia. Era un vero e proprio topo di biblioteca. In carcere, Chávez continuò a costruire relazioni politiche e personali. Aveva già contatti con José Rafael Nuñez Tenorio, uno dei primi divulgatori del marxismo in Venezuela, incarcerato per il suo appoggio ai movimenti rivoluzionari.

Già prima del 4 febbraio conosceva Kléber Ramírez Rojas che contribuì alla costruzione del documento programmatico della ribellione militare del 4 febbraio; Kleber era del PRV, la stessa organizzazione in cui militava il fratello di Chávez, e il primo a lavorare con il concetto di Estado comunal12. Chavez conobbe anche Jorge Antonio Giordani Cordero, economista di formazione marxista e poi ministro con Chávez. Fu lui a fargli conoscere sia Antonio Gramsci che Itzvan Meszáros13 e fu in quel periodo precedente al 4 febbraio 1992 che Chávez scrisse El libro azul14 in cui sviluppa i primi tasselli teorici della democrazia partecipativa e del ruolo protagonista del popolo, cioè del progetto bolivariano.

Me-Ti: Quando nel 1999 Chávez prende la guida del Paese, non lo fa tramite un colpo di Stato militare, ma tramite elezioni democratiche. E la sua prima proposta è la scrittura di una nuova costituzione.

JCL: La crisi degli anni ’80, la repressione contro il movimento nel 1989 e il fallimento del 1992, il carcere… partendo da queste sconfitte Chávez ha costruito un progetto politico nazionale che nel 1999 vince le elezioni. La sua prima misura fu proporre la redazione di una nuova costituzione (2002), quindi una misura che si inseriva nel quadro democratico e borghese dello Stato, ma che era molto avanzata e ci ha permesso di fare tante riforme anti-neoliberiste. Tuttavia, non si trattava affatto di una costituzione socialista.

Nei primi anni le politiche di Chávez furono piuttosto moderate, ma le contraddizioni sociali e la minaccia della controrivoluzione – soprattutto il tentativo di colpo di Stato nel 2002 – lo portarono a radicalizzarsi, a capire che un progetto di liberazione nazionale non poteva svilupparsi all’interno del quadro capitalistico. L’accentuazione della lotta di classe condotta “dall’alto” tra il 2001 e il 2002 fu come la conseguenza della consapevolezza della classe dominante che Chávez non poteva essere cooptato15. Chávez sapeva di dover creare un proprio progetto che partisse dal popolo, con un proprio programma e che non era possibile negoziare con la classe dirigente venezuelana in quel momento.

Me-Ti: Quando si concretizza questa svolta socialista di Chávez?

JCL: Solo a partire dal 2005, al quinto incontro del Forum Sociale Mondiale di Porto Alegre, Chávez parla per la prima volta di socialismo. Successivamente, nel 2006, durante la campagna elettorale presidenziale disse “chi vota per me, vota per il socialismo” ed è in questo modo che inizia a costruire il consenso attorno all’idea di socialismo. In quell’occasione, Chávez vinse con il 62,85%; un risultato buono, ma sperava in un consenso elettorale più netto in modo da poter accelerare il processo di trasformazione istituzionale, politico, sociale ed economico. Già l’anno successivo, nel 2007, propose una riforma costituzionale per adeguarla ai nuovi tempi e ai nuovi bisogni popolari e così allinearla al progetto socialista. Ma al voto il referendum fu perso per un soffio, cosa che fece frenare l’offensiva socialista.

Malgrado la sconfitta elettorale – l’unica dei suoi 14 anni di governo – Chávez continuava a identificare le crepe all’interno del sistema borghese e ad avanzare con delle proposte concrete. Ed è in questo contesto che iniziammo a costruire i primi consejos comunales: Chávez si rese conto dell’importanza di creare spazi in cui si producono e riproducono nuove relazioni sociali, relazioni socialiste. Comprese che la costruzione del socialismo non poteva limitarsi a un processo dall’alto, di semplice presa di potere statale, ma che serviva allo stesso tempo un processo di costruzione di nuove strutture, parallele a quelle dello Stato borghese, dal basso. E comprese la necessità, per le organizzazioni sociali, di scalare il livello locale a istanze di aggregazione superiori fino ad arrivare a livello nazionale.

Me-Ti: Si pose quindi immediatamente la questione della forma di organizzazione popolare.

JCL: La realtà concreta ci imponeva una ricerca di risposte a problemi molto complessi: per trasformare lo Stato borghese, avevamo bisogno di una nuova razionalità e di una nuova relazionalità, di un nuovo tipo di Stato costruito dal basso e con le proprie istituzioni. Lo spazio politico, sociale, economico e geografico in cui questo poteva avvenire erano i consejos comunales e le comunas. È qui che si produce la sintesi teoria-prassi. Stavamo già costruendo questo processo e lo stavamo facendo come popolo venezuelano. Per garantire questo processo dal basso c’era bisogno che l’esaurimento dello Stato borghese andasse avanti, e che si lasciasse però spazio a un Estado comunal. Chávez dichiarò questo obiettivo politico a più riprese, si definiva un “sovversivo dentro Palazzo Miraflores”16. Questa era la vocazione rivoluzionaria e ribelle di Chávez che in quel momento avrebbe potuto sedersi comodamente sulla sedia di presidente al potere, ma non lo fece. Al contrario, si interrogava: “questo Stato non è la forma definitiva del socialismo, abbiamo bisogno di un nuovo tipo di Stato”. E così che Chávez sviluppa la teoria dell’Estado comunal.

Me-Ti: Qui ritroviamo quindi tanti elementi leninisti e gramsciani di Chávez.

JCL: Chávez ha sempre sottolineato la centralità del doppio potere. E ci sono tanti elementi pratici che lo dimostrano, come per esempio le misiones sociales. La prima missione, barrio adentro, iniziò solo nel 2003, perché malgrado la vittoria elettorale del 1999, lo Stato venezuelano continuò a vivere un’importante crisi. Solo nel 2003 Chávez iniziò ad ottenere un maggior controllo sul processo politico, guadagnando più margine per attuare le prime misure popolari. Ricordiamoci che l’11 e il 12 aprile 2002 ci fu un tentativo di colpo di Stato mediatico-militare, e solo pochi mesi dopo, nel dicembre dello stesso anno, un nuovo tentativo tramite uno sciopero reazionario che paralizzò l’intera industria petrolifera e che durò fino al 3 febbraio del 2003.

Solo una volta scongiurati questi tentativi reazionari di interrompere il processo di trasformazione, iniziò a crearsi quello spazio politico e sociale più direttamente orientato al miglioramento delle condizioni di vita delle classi popolari. Chávez pose le misiones sociales al di fuori delle istituzioni statali, ma subito abbiamo dovuto affrontare un problema serio: le misiones sociales avevano difficoltà a sostenersi autonomamente e di conseguenza vennero assorbite dallo Stato.

Me-Ti: Quali sono le ragioni per cui queste iniziative non riescono ad affermare la loro autonomia e vengono così integrate nello Stato borghese?

JCL: In Venezuela abbiamo affrontato difficoltà storiche nel costruire movimenti popolari: il peso dello Stato e la centralità della rendita petrolifera ha generato – e continua a generare tutt’oggi – una forte attrazione magnetica che tende ad assorbire tutto ciò che vi ruota attorno. Il modello di accumulazione capitalistico venezuelano ha prodotto una borghesia parassitaria dipendente dalla rendita e incapace di sviluppare sia le forze produttive necessarie per trasformare le sue basi economiche, sia un progetto nazionale indipendente dalle influenze estere. In questo modo la borghesia venezuelana ha sempre lottato ferocemente per il controllo della rendita petrolifera e quindi per il controllo dello Stato stesso. L’intera società venezuelana è in qualche modo dipendente da queste dinamiche.

Quando Chávez, da leader carismatico, iniziò a promuovere la costruzione di organizzazioni popolari, consapevole delle difficoltà oggettive della loro strutturazione e sopravvivenza, ha insistito sulla loro autonomia. Tuttavia, neanche lui riuscì a rompere quei legami con lo Stato venezuelano, perché, in fin dei conti, la leva economica per la loro costruzione rimane la rendita petrolifera. Questa dipendenza è pericolosa perché può generare rapporti di subordinazione, clientelismi e corruzione. Questa è la grande sfida del movimento popolare venezuelano, e quindi anche dell’Unión comunera: costruire una nostra identità e livelli di autonomia economica, politica e programmatica. Ma per rafforzare il nostro progetto economico-comunal e difenderci dal monopolio capitalistico agro-industriale, abbiamo bisogno di una leva economica che ci permetta di svilupparci. La centralità della rendita petrolifera quindi ci obbliga a lottare per il potere politico in Venezuela.

È importante sottolineare questo aspetto: l’Unión comunera non è un movimento autonomista! Lottiamo per una nostra autonomia nei confronti dello Stato e del potere economico e politico, ma allo stesso tempo siamo consapevoli che non possiamo abbandonare il campo di lotta per il potere politico senza il quale è impensabile una trasformazione radicale e duratura della nostra società. Questo vale anche e soprattutto oggi: mentre le sanzioni continuano a fare pressioni sulle classi popolari e l’ultradestra – supportata dal governo statunitense e dall’Unione europea – si organizza per delegittimare e attaccare materialmente la rivoluzione bolivariana, abbiamo l’obbligo di difendere il nostro governo.

Me-Ti: Per rispondere a queste sfide e contraddizioni, serve approfondire una nostra teoria dello Stato, del potere e della trasformazione radicale.

JCL: Esatto. Si tratta di una questione strategica che ci assumiamo come organizzazione popolare: abbiamo bisogno di sviluppare una nostra teoria politica dell’Estado comunal. Possiamo appoggiarci su autori che hanno già lavorato su questi temi, e abbiamo accumulato esperienze dirette – la pratica è un buon maestro – ma la strada da percorrere è ancora lunga. Per rafforzare questo sforzo teorico al servizio della lotta, come Union comunera stiamo lavorando alla costruzione di un centro di ricerca e di elaborazione teorica; si tratta di centralizzare i diversi sforzi già all’opera in contesti locali e anche a livello internazionale.

Questo sforzo teorico ci è utile per “contendere il potere nei territori”17, quindi per contrastare l’egemonia borghese con una nostra egemonia comunal. Ma va precisato che non vogliamo comunalizzare ogni centimetro del territorio venezuelano. Vogliamo provocare un movimento capace di parlare ad altri settori sociali. Per esempio, che visione ha il movimento delle comunas dell’industria petrolifera? È una questione che ci porta direttamente a riflettere sulle alleanze strategiche, ma anche sul progetto per il nostro Paese. Al momento manca una nostra visione d’insieme a 360°.

Io personalmente sono convinto che abbiamo la necessità di articolare una convergenza e unità con la classe operaia del settore petrolifero. Da lì può partire una trasformazione del settore petrolifero e dell’utilizzo della sua rendita volta alla costruzione del socialismo. Non è solo una questione di sopravvivenza nell’immediato, ma una questione strategica. Questo corrisponde allo “spirito delle comunas” che Chávez ha teorizzato il 20 ottobre 2012, poco prima di morire, davanti al Consiglio dei ministri. Nel suo discorso Chávez fece una precisazione fondamentale: più importante delle comunas in sé è il suo spirito, la capacità di generalizzare l’idea, la pratica, le forme e le strutture organizzative dell’Estado comunal, dalle comunas ai diversi settori della classe operaia, e di renderlo senso comune18. Solo attraverso questa espansione possiamo avviare una messa in questione del nostro processo comunal, adattarlo alle altre realtà sociali ed economiche, per renderlo “legge” in tutti gli aspetti della vita venezuelana. Questo per noi significa lotta egemonica.

Me-Ti: Il 20 luglio 2024 si è svolta una conferenza nazionale dell’Unión comunera con il titolo Ni quarto nivel, ni sexto poder – todo el poder para el pueblo!19 Anche all’interno del movimento troviamo quindi una discussione sul ruolo delle comunas?

JCL: Per noi il concetto delle comunas è ben chiaro: si tratta della necessità di divenire un sistema nazionale, promotore della costruzione dell’Estado comunal che, a sua volta, vuole superare lo Stato liberal borghese venezuelano. Noi abbiamo sposato quest’idea chavista e ci assumiamo la responsabilità di realizzare questo progetto.

Tuttavia, all’interno del governo venezuelano c’è chi diffonde l’idea delle comunas intese come democrazia di quarto livello: affianco ai tre livelli di governo nazionale, regionale e locale, si dovrebbe aggiungere il livello delle comunas. Secondo questa lettura, il posto delle comunas è semplicemente il quarto livello, quindi subordinato agli altri livelli di governo. Noi non siamo d’accordo, perché significa, di fatto, confinare il potere comunal, marginalizzare la sua capacità generalizzante.

Un’altra corrente invece vuole impiantare il potere popolare come sesto potere, affianco ai cinque poteri pubblici in Venezuela: legislativo, esecutivo, giudiziale, elettorale e cittadino. Secondo questo punto di vista, il potere popolare dovrebbe essere un potere complementare al resto. La nostra prospettiva non è neanche questa. Diciamo “né quarto livello, né sesto potere – tutto il potere al popolo” perché ci comprendiamo come base della trasformazione radicale della società tutta.

Siamo consapevoli del momento in cui viviamo, dei limiti e dei rapporti di forza in cui un tale progetto trasformativo si colloca, ma non rinunceremo mai al nostro orizzonte strategico. Siamo consapevoli che attualmente ci troviamo in una situazione di debolezza dovuta a una vera e propria guerra economica e a una crisi che ha messo fortemente alla prova l’intero popolo venezuelano. Infatti il progetto comunal oggi deve lavorare al rafforzamento del nostro tessuto sociale e delle nostre forme organizzative nel contesto di queste difficoltà economiche, programmatiche, teoriche. Ma solo la via comunal al socialismo è capace di onorare l’origine etimologica del termine democrazia, che è il potere popolare, il potere del popolo per il popolo.


  1. https://www.instagram.com/unioncomunera/ ↩︎
  2. https://www.comunas.gob.ve/2024/04/03/comunero-juan-carlos-lenzo-el-futuro-de-una-humanidad-nueva-se-construye-en-la-practica-comunal/ ↩︎
  3. Chávez ha caratterizzato il termine democracia participativa y progagónica che riassume proprio questo doppio carattere della democrazia, cioè sia maggiore coinvolgimento delle classi popolari nei processi istituzionali dello Stato, sia il loro protagonismo nell’autorganizzazione e autogoverno delle proprie istituzioni. ↩︎
  4. Vedi Il delicato fiore delle comunas, pubblicato il 3 aprile 2023 (https://poterealpopolo.org/delicato-fiore-comunas/). ↩︎
  5. Cfr. Yohann Douet, L’hégémonie et la révolution. Gramsci penseur politique, Editions Amsterdam, Paris 2023. ↩︎
  6. https://www.marxists.org/reference/archive/kropotkin-peter/1920/letters-lenin.htm ↩︎
  7. Gómez divenne presidente del Venezuela per la prima volta nel cinquennio 1908-1913. Fino alla sua morte nel 1935 aggiunse altri due mandati  (1922-1929 e 1931-1935). Riuscì a ridurre il debito pubblico grazie alla svendita di concessioni alle compagnie petrolifere estere, in primis statunitensi, cosa che gli garanti il supporto dei Paesi occidentali. ↩︎
  8. Presidente venezuelano per due mandati, dal 1974 al 1979 e dal 1989 al 1993. Durante il suo primo mandato, il Paese fu chiamato la “Venezuela Saudita” grazie alle massicce entrate della vendita petrolifera. Durante il secondo mandato invece fece reprimere le proteste popolari del caracazo con 3.000 morti. Nel 1992 subì il tentativo di colpo di stato guidato da Hugo Chávez Frías. ↩︎
  9. Rafael Arráiz Lucca, 30 Years Ago, Venezuela Exploded, pubblicato il 27 febbraio 2019 in Caracas chronicles. (https://www.caracaschronicles.com/2019/02/27/30-years-ago-venezuela-exploded/) ↩︎
  10. Il PRV è stato fondato nel 1966 dopo una scissione dal Partido Comunista del Venezuela (PCV). Il PRV decise di dare continuità alla lotta armata quando il PCV aveva avviato un processo di pacificazione con il governo. Continuò questa via fino a quando, ad inizio anni ’80, la repressione e i conflitti interni portarono alla sua smobilitazione.  ↩︎
  11. Vedi https://www.youtube.com/watch?v=AMBO9yP29dQ ↩︎
  12. Kléber Ramírez Rojas, Historia documental del 4 de febrero, Fundación Editorial El perro y la rana, Caracas 2022. Vedi anche Tatuy TV, Chavez. Estado Comunal, 20 ottobre 2024, (https://tatuytv.org/golpe-de-timon-el-estado-comunal/) ↩︎
  13. Cfr. Chris Gilbert, Mészáros y Chávez: El Filósofo y el Llanero, pubblicato il 28 luglio 2022 in Jacobin Lat (https://jacobinlat.com/2022/07/meszaros-y-chavez-el-filosofo-y-el-llanero/). ↩︎
  14. Hugo Chávez Frías, El libro azul, Ministerio el Poder Popular para la Comunicación e Información, Caracas 2013. In questo breve scritto, Chávez mette la base ideologica del progetto nazionale bolivariano riferendosi a rivoluzionari come Simón Rodríguez, Simón Bolívar e Ezequiel Zamora. ↩︎
  15. Juan Lenzo,  Chavez entre la coercion y la cooptacion, pubblicato il 13 aprile 2022 in Tatuy TV (https://tatuytv.org/abril-entre-la-cooptacion-y-la-coercion/). ↩︎
  16. José Vicente Rangel, De Yare a Miraflores. El mismo subversivo. Entrevistas al Comandante Hugo Chávez Frías (1992-2012), Fundación Editorial El perro y la rana, Caracas 2022. ↩︎
  17. Angel Prado, Hablemos de la Comuna, 28 giugno 2024 (https://www.instagram.com/p/C8xiAoQhbaV/). ↩︎
  18. Hugo Chávez Frías, Golpe de timón, discorso del 20 ottobre 2012 in cui affina la sua idea di socialismo e delle comunas e che diventa famoso per lo slogan “comuna o nada!” (https://www.dailymotion.com/video/x8et3zc). ↩︎
  19. https://www.instagram.com/p/C9guf7eO8UH/ ↩︎

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